Intervista su L’Economia, inserto del Corriere della Sera, al Presidente e CEO dott. Michele Moltrasio.
Di seguito alcuni interessanti punti estrapolati dall’articolo della giornalista Raffaella Polato, che ringraziamo.

Nelle scelte d’acquisto non c’è storia: dritte (quasi sempre) sul made in Italy. Fino al momento di guardare l’etichetta. Di italiano, si scopre, manca spesso uno degli ingredienti che insieme al design fanno la differenza tra noi e gli altri: la qualità della produzione.  In Gabel ogni singolo passaggio della lavorazione industriale, ha «casa» nei due stabilimenti lombardi: a Buglio, in Valtellina, c’è la tessitura, a Rovellasca c’è il quartier generale e tutti gli altri step della filiera produttiva. È il posto dove oggi come ieri nascono le idee e dove, poi, viene completato il processo che le trasforma in prodotti. Tintoria e stampa. Finissaggio e controllo qualità.

Diciamola in questo modo: il fascino di fabbriche così è un po’ il «dietro le quinte del Made in Italy. E ha un costo, anche se non ci pensiamo mai. Sarà banale ma è il caso di ricordarlo, che la qualità ha un prezzo e che, dal lavoro al Fisco passando per l’import di materie prime ed energia, una filiera pressoché interamente tricolore costa (appunto) molto più di quanto non costino gli stessi processi manifatturieri in Asia o Nord Africa.

Ed è per la scelta strategica opposta, cioè restare qui a dispetto di tutto, perché il nostro modello di successo è fatto da un mix non replicabile, che un’azienda come Gabel finisce con l’essere il prototipo di quello che potremmo definire come il paradosso del Made in Italy.
Michele Moltrasio, e con lui Massimo e Francesca, lo sintetizza intanto con l’orgoglio dell’«essere rimasti in Italia ed essere gli unici, ormai, a fare ancora tutto qui».

Nel segno della produzione nazionale di qualità, l’accordo di produzione e distribuzione del marchio Ken Scott tra Gabel e Mantero, potrebbe rivelarsi un modello di sviluppo per le medie imprese del Made In.